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Crediti
Testi di Gabriele Catania
Musiche di Fabrizio De André
Cantanti e musicisti che hanno collaborato al CD
Juri Aparo, voce
Gabriele Catania, voce
Stefano Catania, voce
Rosaria Indelicato, voce
Neith Pincetti, voce
Guido Block, arrangiamenti, chitarre, piano, basso, percussioni, voce
Matteo Trotta, arrangiamenti, violini
Michele Campanella, batteria
Luca Codecà, chitarra
Marco Montella, flauto
Alessio Terranova, clarinetto
Il CD è stato registrato e mixato da Guido Block presso LO STUDIO – Milano
Grafica: Buca18 Comunicazione (BG) – Stampa: Furlan Grafica – Milano
Come nasce il CD
Con le canzoni si costruiscono delle realtà sognate. La realtà, quella vera, è invece quella che ci aspetta fuori dalle porte del teatro, e per modificarla, se vogliamo modificarla c’è bisogno di gesti concreti e reali. (Fabrizio De André)
Con queste parole Fabrizio De André ha voluto esprimere la sua convinzione che l’arte oltre ad affinare l’animo umano, può avere anche la funzione di favorire dei cambiamenti tangibili. Cambiamenti che siano realmente utili al benessere della gente in generale, e in particolare di quella moltitudine di persone che in qualche modo vive situazioni di disagio e/o di discriminazione.
La nostra Associazione, attraverso questo progetto, si sta adoperando per favorire dei cambiamenti reali in un ambito, quello del disagio mentale, che negli ultimi settanta anni continua a crescere in maniera esponenziale.
Dal 2012 utilizziamo, con il patrocinio morale della Fondazione Fabrizio De André, le canzoni del grande cantautore genovese, per portare avanti la difficile battaglia contro i pregiudizi sul disagio psicologico attraverso il progetto Faber in Mente. Vogliamo ricordare che il pregiudizio rende più difficile la cura di queste forme di patologia perché i pazienti si vergognano di chiedere aiuto e quindi non si curano, si curano male o in ritardo.
Scopo del CD
Lo scopo di questo lavoro è quello di favorire, attraverso la musica, la comprensione empatica dell’esperienza esistenziale di chi soffre di una qualunque forma di disagio mentale. Pensiamo che sia questo il modo migliore per combattere il pregiudizio e la discriminazione in questo ambito.
Questo CD ha avuto il patrocinio morale di ASST Fatebenefratelli-Sacco e della Fondazione De Andrè che ringraziamo per la gentile concessione dei brani.
Serata di presentazione del CD
Il CD è stato presentato il 25 Maggio 2017 al Civico Auditorium di via Quarenghi a Milano, in una serata dedicata alla promozione della salute mentale attraverso le musiche di Fabrizio De Andrè, che ha visto la partecipazionie di numerosi musicisti e interpreti.
Per sapere come ottenere il CD del progetto Faber in Mente contattaci.
Le canzoni del CD
- Il sogno di Maria R.
- Se mi lasciassero un pezzetto della mia malinconia
- Hotel Soprailmondo (Ritorno da un’allucinazione)
- Don Michè
- Quello che ti do
- Presunçao (Il paziente resistente)
- Fiume Salpêtrière (Omaggio a Franco Basaglia)
- Ho visto la vita volare
- Il testamento di Franz
1. Il sogno di Maria R.
Parafrasi del testo “Il sogno di Maria”
Il sogno come sublimazione della realtà
Nel brano “Il sogno di Maria” De André dà voce a Maria di Nazareth e le fa raccontare in prima persona l’esperienza della maternità di Gesù. Il racconto inizia con la descrizione di un sogno nel quale la protagonista viene condotta in volo da un angelo in un luogo misterioso dove le annuncia che è stata destinata a diventare la madre del figlio di Dio. In questa sua interpretazione dei racconti evangelici apocrifi, De André immagina dunque che l’annunciazione di Maria avvenga attraverso un sogno. In realtà non sappiamo quale sia stata la ragione che lo ha spinto a fare questa scelta, ma sappiamo dalla clinica psicologica, che il sogno è uno strumento di elaborazione della sofferenza psicologica. Possiamo pertanto ipotizzare che l’artista, che l’abbia fatto volontariamente o meno poco importa, è come se avesse voluto proteggere Maria dal forte impatto emotivo di sapere che avrebbe partorito il figlio di Dio.
È proprio il tema del sogno come strumento di difesa dalle esperienze emotivamente troppo coinvolgenti, l’elemento che collega questa canzone alla storia clinica che ha ispirato il brano “Il sogno di Maria R.”. In questo testo infatti si racconta di una giovane donna che durante un abuso sessuale immagina di vivere un sogno per allontanarsi da quella realtà insopportabile. Nella sua rappresentazione onirica la donna fantastica di essere rapita da un angelo che l’accompagna in un volo surreale attraverso il quale, come in un percorso psicoterapeutico, riesce a vedere certe scene della sua vita e a rivivere così, alcuni traumi della sua esistenza. La storia continua mostrando un’altra analogia tra il testo che racconta le vicende di Maria R. e quello della canzone di De André: il tema della maternità. La giovane protagonista infatti scopre di essere incinta e questo rinnova i suoi conflitti interiori (sentì il suo destino di madre bambina sfiorarle il corpo come gelida brina) che la costringono ad una dolorosa altalena tra il desiderio di essere madre e la paura di non riuscire a dimenticare le condizioni nelle quali quella creatura era stata concepita. Alla fine un pensiero indulgente la guida nella scelta e decide serenamente di vivere, per la sua prima volta, l’esperienza della maternità (e poi piano ripose un sorriso ai bordi della sua pelle; le mamme quando sorridono svelano al mondo il colore del vento).
Testo della canzone “Il sogno di Maria R.”
2. Se mi lasciassero un pezzetto della mia malinconia
Parafrasi del testo “Se ti tagliassero a pezzetti”
La libertà come unica esperienza capace di dare senso alla vita.
Nonostante alcuni contenuti cruenti (se ti tagliassero a pezzetti; camminavi fianco a fianco al tuo assassino) anche questa canzone di De André racconta di una storia d’amore. Non si tratta però di un amore romantico ma dell’amore per uno dei temi esistenziali più ricorrenti nell’opera e nel pensiero di questo artista: la libertà.
Nelle sue canzoni, sono innumerevoli i riferimenti ai diversi modi con i quali questa irrinunciabile condizione dell’uomo può essere violata. Vi si trovano i casi in cui un uomo è reso schiavo dal potere, dall’amore, dal radicalismo religioso, dalla malattia e persino dal rapporto con se stesso. Ma può anche accadere che il tentativo di liberare un individuo da una forma di prigionia, come ad esempio la malattia, possa trasformarsi esso stesso in un atto capace di limitare la libertà umana. È il caso di alcune forme di cura del disagio psicologico, e non solo quelle che implicano una restrizione fisica della libertà personale (i ricoveri forzati) ma anche tutti i casi nei quali attraverso una cura farmacologica eccessiva si esagera nella riduzione dei sintomi. Un eccesso di questo tipo d’intervento può infatti limitare troppo l’esperienza emozionale dei pazienti e con essa la libertà di essere se stessi, tanto da togliere dignità alla loro esistenza.
Il protagonista del brano “Se mi lasciassero un pezzetto (della mia malinconia)” lamenta proprio questa condizione. Egli riconosce il suo disagio psicologico descrivendosi come un uomo malinconico e avvezzo all’abuso alcolico (ho sfiorato con le labbra il piacere e la follia; vomitando dentro a un bicchiere la mia allegria) ma è convinto che se la cura gli lasciasse la libertà di provare un po’ della sua malinconia invece di assopire completamente i suoi sensi, lui riuscirebbe meglio a trovare la via della guarigione (Se mi lasciassero un pezzetto di questa mia malinconia; tra i respiri del cuore troverei la mia via). Ma il tema della libertà di essere se stessi non riguarda solo la condizione clinica del personaggio di questa storia. Egli reclama anche la libertà individuale, quella che deve essere riconosciuta ad una persona al di là della sua patologia: la libertà sociale, altro tema molto caro a Fabrizio De André. Nel brano infatti il protagonista rivendica la libertà di stare lontano da tutti i giochi di potere, da quello politico (perciò lasciatemi lontano dalle vostre nostalgie; dal potere dei buoni, dalle vecchie bugie), a quello religioso (ho venduto ad un passante la mia sete e il mio vangelo; per guardarvi con più distanza dal mio cielo) o quella di vivere la propria vita secondo i propri principi e le proprie aspirazioni (ti ho inseguito a piedi nudi tra il coraggio e la viltà; per sfiorare l’ultimo vento di libertà). Uno splendido modo per curare ogni ansia sociale.
Testo della canzone “Se mi lasciassero un pezzetto della mia malinconia”
3. Hotel Soprailmondo (Ritorno da un’allucinazione)
Parafrasi del testo “Hotel Supramonte”
La fuga dalla realtà come strumento di difesa dai traumi
In “Hotel Supramonte” Fabrizio De André racconta l’angosciante esperienza del rapimento subito da lui e da Dori Ghezzi, trasformandola in una delicata storia d’amore. Ma questo brano è anche la descrizione dei processi psicologici che caratterizzano la condizione traumatica della prigionia. Il testo infatti restituisce la narrazione di un continuo cambiamento dello stato d’animo del protagonista; un cambiamento che si realizza tramite la contrapposizione di opposti. Così una “lettera”, cioè la descrizione della realtà, può diventare “vera di notte” e “falsa di giorno” in rapporto al sentire soggettivo di chi la sperimenta. Il racconto di De André, aiutato anche dal fatto di aver vissuto realmente quell’esperienza, è una sorta di straziante altalena tra l’angoscia e la speranza (perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole) modulata da quell’ordine discreto dentro al cuore che richiama l’amore (ma dove dov’è il tuo amore, ma dove è finito il tuo amore) e lo rimette al centro della storia. È infatti un atto d’amore, di protezione, verso se stesso e verso la donna a cui si rivolge che porta il protagonista ad indicare un luogo di ristoro emotivo (e un invito all’Hotel Supramonte dove ho visto la neve), dove rifugiarsi in attesa della liberazione e della fine di quell’esperienza angosciante. Ma in questa descrizione l’Hotel Supramonte è un luogo immaginario, uno spazio fuori dal mondo reale, frutto di un’altra contrapposizione. Esso infatti è nella realtà “vera” l’orribile luogo di prigionia, mentre in quella immaginata è un accogliente rifugio che dona pace e serenità. Qui l’autore suggerisce una sorta di fuga dalla realtà, come difesa dal disagio psicologico dovuto al trauma di essere privati della libertà e impauriti dall’incertezza del proprio destino. Come a dire: quando la realtà è troppo angosciante e difficile da sopportare ci si può rifugiare nell’immaginazione. Ed è proprio questo meccanismo di difesa psicologica l’elemento di collegamento tra questa storia e quella raccontata nella canzone “Hotel Soprailmondo”. In questo brano infatti si racconta di una paziente che per difendersi da una condizione esistenziale insopportabile trova rifugio in un mondo fantastico, che però a differenza del personaggio di De André, lei percepisce come effettivamente reale.
Un’allucinazione, come viene definita in ambito psichiatrico, che ha però permesso alla paziente di trovare un temporaneo “ristoro emotivo” nel suo Hotel Soprailmondo (cioè aldilà della realtà data) fin quando non è riuscita a liberarsi dalla sua condizione di prigioniera del suo disturbo mentale. Per lei come per il personaggio deandreiano, è stato decisivo l’aver sviluppato la capacità di mettere al centro della sua esistenza l’amore per se stessa e per il mondo circostante.
Testo della canzone “Hotel Soprailmondo (Ritorno da un’allucinazione)”
4. Don Michè
Parafrasi del testo “Don Raffaè”
L’idealizzazione del potere criminale come fattore protettivo sociale e psicologico
La canzone “Don Raffaè” racconta la storia di Pasquale Cafiero, una guardia carceraria che frustrato dal suo lavoro e deluso dallo Stato, instaura un rapporto privilegiato con un carcerato eccellente, un importante boss della camorra: don Raffaè. Con lui parla di politica, di problemi sociali, di fatti personali, mostrandosi sempre accondiscendente e pronto ad offrire i suoi servigi. Ma soprattutto chiede la sua benevolenza, la sua protezione, facendogli continue richieste d’aiuto per risolvere i propri problemi economici e quelli dei suoi parenti. Con questo suo comportamento Cafiero, mostra di aver idealizzato la figura di don Raffaè, e con essa la forza del potere malavitoso. Il suo è l’agire di chi pensa che l’autorità e il potere che discendono dall’essere un capo criminale, possano davvero proteggere dal disagio sociale.
È proprio il tema dell’idealizzazione del potere di cui viene investito un capo malavitoso che fa da collegamento tra la storia di Pasquale Cafiero e quella di Michele Porcaro, il protagonista del brano “Don Michè”. Questa canzone, infatti racconta di un paziente con un passato da boss convinto che l’aver fatto quella scelta da “uomo duro”, lo avrebbe protetto per sempre dalle sue fragilità emotive. Egli aveva in questo modo idealizzato il potere che gli veniva riconosciuto dalla sua organizzazione, investendolo di un’improbabile funzione psicologica di protezione, capace di garantirgli la stabilità e l’equilibrio mentale. Ma questa sua illusione svanì quando ad un certo punto della sua vita, si trovò a dover fare i conti con un conflitto interiore che lo portò a soffrire di una forma persistente d’insonnia. La risoluzione di questo suo problema avvenne solo quando egli si rese conto di aver negato, perché se ne vergognava, il dolore provato da bambino per la mancanza dell’affetto materno (ma stanotte cull’uocchi sbarrati i ricordi si sono fermati a quand’ero temuto in città e tenive scuorno ‘e pensare a mammà). La madre era stata avviata alla prostituzione alcuni anni dopo la sua nascita e il padre lo aveva allontanato da lei. Ma quell’allontanamento aveva provocato in lui una profonda sofferenza lasciandogli degli importanti vuoti affettivi che erano alla base della sua patologia. Don Michè capì da solo tutto questo e lo verbalizzò come una sua solida certezza: se stu core tenisse na voce; so sicuro me levasse sta croce; io non dormo pà smania e’ sape’; se pure mia madre soffriva per me.
Testo della canzone “Don Michè”
5. Quello che ti do
Parafrasi del testo “Quello che non ho”
Meglio essere (in Sé) che avere
Per essere felice all’uomo non è indispensabile il possesso dei beni materiali, egli ha bisogno innanzitutto di coltivare i propri valori, quei valori che davvero rendono la vita degna di essere vissuta. È questa la sinossi del brano scritto da Fabrizio De André e da Massimo Bubola: “Quello che non ho”. Per l’indiano protagonista della canzone non serve l’ipocrisia nascosta dietro una camicia bianca, la rassicurazione fittizia di un conto in banca, la frenesia di avere un orologio avanti per correre più in fretta, la furbizia per farla franca, o avere le mani in pasta per gli intrallazzi fraudolenti. Tutto questo è un inganno, un tentativo per estraniare gli uomini dalla loro vera natura. Così l’indiano vorrebbe un treno, anche arrugginito, che lo riporti alla sua essenza naturale: il luogo da dove è partito.
Anche il brano “Quello che ti do” affronta il tema dell’estraneazione dai valori naturali dell’uomo. Il protagonista infatti è un tossicodipendente che per anni ha subito il fascino dell’estraniarsi dai veri valori della sua esistenza, per vivere in un mondo fatto da realtà fittizie e innaturali quali sono quelle prodotte dagli effetti chimici delle sostanze stupefacenti. Per fortuna egli come l’indiano protagonista della canzone di De André, riesce ad accorgersi dell’errore e decide di reagire. Il testo infatti racconta il dialogo simbolico tra lo spacciatore che cerca di magnificare gli effetti della droga e il paziente che accortosi finalmente del pericolo, argomenta le ragioni per le quali ha deciso di smettere. In questo senso, nei due testi si può riconoscere una doppia sovrapposizione: quella tra, lo spacciatore e il colonizzatore bianco perché sono entrambi venditori di false realtà, e quella tra l’indiano e il paziente, in quanto tutti e due, una volta consapevoli del pericolo, reagiscono alle false illusioni).
Testo della canzone “Quello che ti do”
6. Presunçao (Il paziente resistente)
Parafrasi del testo “Princesa”
La diversità come elemento di discriminazione sociale e soggettiva
Prinçesa vive con sofferenza e drammaticità il conflitto interno tra il suo sentirsi donna e l’evidenza di avere un corpo da uomo. Il testo della canzone narra infatti del suo profondo travaglio interiore iniziato durante l’infanzia quando da bambino cominciò ad avvertire un “sentire” da femmina e che continuò anche in adolescenza allorché cominciò a considerarsi, una “femmina malriuscita”. In ragione di questo turbinio di sensazioni violente e contrastanti, Prinçesa, finì per convincersi che quel suo desiderio di volersi riconoscersi in un’anima femminile nonostante la diversa realtà fisica del suo corpo, fosse un impulso indegno e contro natura. Ma alla fine decide di reagire alla sua sofferenza sottoponendosi ad un intervento chirurgico per “assomigliarsi”. La sua è comunque una reazione animata da un orgoglio sano, di chi dopo aver vissuto interiormente il dramma di confrontarsi con la propria diversità, la rivendica provocando quella parte di società rimasta vittima del pregiudizio. Così si descrive come un animale (sono una pecora sono una vacca; se agli animali si vuol giocare) che offre in modo provocatorio, il suo corpo (sono la femmina camicia aperte; piccole tette da succhiare) come reazione alla delusione e alla frustrazione di sentirsi comunque discriminata. I temi del conflitto interiore vissuto come una lotta contro una parte di sé considerata malevola e innaturale e dell’atteggiamento provocatorio come reazione alla discriminazione sociale, descritti nel testo di questa canzone sono gli elementi che ci permettono di riconoscere una sua analogia di senso con il brano: Presunçao (il paziente resistente). In questo brano, infatti si racconta di un paziente in conflitto con se stesso perché interpreta la sua nevrosi come la prova della sua “anormalità”. Per lui, fare esperienza di qualunque emozione negativa è una dimostrazione di debolezza, espressione di un inaccettabile lato femmineo della sua personalità. Così vi si oppone da “maschio”. Sceglie l’orgoglio come difesa rifugiandosi dietro la maschera del buon soldato per negare ciò che gli fa più paura, ovvero la parte emotiva, quella più profonda e più autentica di se stesso (diserto ancora la mia natura). In questo senso il suo conflitto ripropone la stessa contrapposizione maschile/femminile della storia di Prinçesa, anche se a differenza della protagonista della canzone di De André, per il paziente si tratta di istanze meno “leggibili” e più profonde. Simile è anche l’atteggiamento di sfida e di provocazione: sono il paziente che se ne sbatte non voglio farmaci non chiedo aiuto; voglio restare quello che sono piccolo stronzo del vostro culo.
Testo della canzone “Presunçao (Il paziente resistente)”
7. Fiume Salpêtriére (Omaggio a Franco Basaglia)
Parafrasi del testo “Fiume Sand Creek”
L’errore di togliere la dignità agli uomini per la loro presunta diversità
La canzone di De André “Fiume Sand Creek”, narra di un episodio del lungo e crudele sterminio degli indiani d’America da parte dei colonizzatori bianchi. È il racconto di una verità storica esemplificativa di come la prevaricazione umana può mortificare la dignità di un popolo; un popolo che dormiva senza paura perché non avendo alcuna colpa, nulla aveva da temere. Un’intera comunità cancellata quasi completamente dalla geografia umana, costretta a vivere nelle riserve come se fossero infetti, contagiosi di una malattia sconosciuta e mai scoperta. Una finta malattia che si chiama: diversità. La storia degli americani d’America somiglia molto a quella di tutta la povera gente inerme e incolpevole che ha popolato per un tempo troppo lungo i manicomi. Anch’essa, gente senza alcuna colpa, indifesa, del tutto incapace di resistere alla prevaricazione e all’abuso di chi, mostrando con l’inganno la maschera del “curatore di anime”, ha invece favorito il loro isolamento e la loro inumana segregazione. Uomini, donne e bambini strappati dolorosamente ai propri affetti, ai propri luoghi, persino imbarcati su navi senza destinazione, costretti a fare un viaggio che come unico scopo aveva quello di tenerli lontani dai cosiddetti normali. Come se, in quanto considerati presuntivamente diversi, fossero anch’essi, come gli indiani d’America, portatori un germe insano e pericoloso. È stata questa analogia che mi ha fatto pensare di raccontare le vicende di un personaggio positivo, completamente diverso dal colonnello Chivington, l’autore della strage del fiume Sand Creek. Un uomo, mite e appassionato del suo lavoro, un veneziano di trent’anni faccia pulita e simpatia, un vero comandante della follia che ha scelto di proseguire nella direzione data alla psichiatria dal medico e letterato francese Philippe Pinel, che nel 1793, all’ospedale della Salpêtrière di Parigi, liberò dalle catene i malati mentali. La Salpêtrière è diventata da allora un’icona della lotta al pregiudizio nell’ambito della malattia mentale, superata nel tempo solo da quest’uomo, il personaggio della canzone “Fiume Salpêtrière”: Franco Basaglia.
Testo della canzone “Fiume Salpêtrière (Omaggio a Franco Basaglia)”
8. Ho visto la vita volare
Parafrasi del testo “Ho visto Nina volare”
La solitudine come condizione necessaria al cambiamento e alla crescita individuale
Come tutte le altre canzoni del concept album “Anime Salve”, anche “Ho visto Nina volare” propone alcune riflessioni sul tema della solitudine. In particolare questo testo presenta una descrizione dei meccanismi psicologici attraverso i quali l’individuo cerca la separazione dalle figure di dipendenza per riconoscersi come persona autonoma e matura. La solitudine infatti è alla base di ogni percorso che porta ad un cambiamento di status in senso evolutivo. Nella sua essenza questa canzone propone due temi collegati tra loro: quello della crescita (Mastica e sputa da una parte il miele; mastica e sputa dall’altra la cera.) e quello delle difficoltà che si possono incontrare nel cercare di realizzare questo progetto. In particolare quando ci si deve confrontare con una figura di autorità che viene percepita come una minaccia e che impone il suo potere contrastando ogni tentativo di autonomia (E se lo sa mio padre dovrò cambiar paese; se mio padre lo sa m’imbarcherò sul mare). Anche la storia raccontata nel testo “Ho visto la vita volare” restituisce un approfondimento di questi stessi temi. In essa infatti si racconta di un paziente che aveva vissuto un rapporto difficile con suo padre, e che in ragione di questo non riusciva ad accettarne la morte. Il dolore e il rimpianto avevano paralizzato la sua esistenza facendolo precipitare in un profondo stato depressivo. Quello che era successo a quest’uomo durante la sua adolescenza, ha molto a che fare con i temi affrontati da Fabrizio De André e da Ivano Fossati nella loro canzone.
Infatti era stato l’atteggiamento autoritario e vessatorio del padre che gli aveva impedito di opporsi a lui bloccando la sua autonomia. Così cominciò a provare rabbia e odio nei suoi confronti e a congelare lentamente quegli insopportabili sentimenti nella sua mente. Ma la morte del temuto genitore risvegliò quei sentimenti negativi che aveva iniziato a provare durante l’adolescenza. Quel punto però ad essi si aggiunse anche un forte senso di colpa che fece precipitare il suo equilibrio psichico. La terapia si propose di rianimare quell’uomo, prima sostenendolo nella ripresa delle due funzioni vitali: quella della mente (il sogno) e quella del corpo (il respiro) al fine di fargli sublimare il dolore (Sogna e respira te lo chiede il cuore; Sogna e respira e accogli il tuo dolore) e poi aiutandolo ad attraversare una fase di solitudine interiore per prepararsi al cambiamento (E se piangerò da solo davanti al suo destino; da solo comincerò a segnare il mio cammino) e all’accettazione della morte del padre (Ho visto la vita volare sul volto di mio padre; un giorno lo incontrerò per poterlo dimenticare).
Testo della canzone “Ho visto la vita volare”
9. Il testamento di Franz
Parafrasi del testo “Il testamento di Tito”
L’esercizio autoritario del potere come causa di disagio psicologico e sociale
Non sarebbe semplice affrontare uno ad uno i concetti espressi da Fabrizio De André nella sua canzone “Il testamento di Tito” e allo stesso tempo pensare di poterne dare una descrizione sintetica. È possibile comunque individuare un elemento che lega gli innumerevoli contenuti di questo testo direttamente in un commento dello stesso De André quando rispondendo alla domanda di un giornalista disse di considerare “Il testamento di Tito” una delle sue migliori canzoni perché “dà un’idea di come potrebbero cambiare le leggi se fossero scritte da chi il potere non ce l’ha”. Qui il cantautore genovese realizza una delle sue sintesi più efficaci. Ci parla del rapporto tra chi esercita il potere attraverso l’imposizione delle sue leggi e chi le deve subire.
E per far questo richiama l’immagine del più alto simbolo del potere: Dio. Ma Dio è in realtà il simbolo di tutte le altre possibili figure che rappresentano l’autorità e il potere: il padre e lo Stato. Così si potrebbe sostenere che il dissenso esternato dal protagonista di questo brano nei confronti di Dio, può essere considerato in qualche modo rappresentativo di quello che potrebbe rivolgere un cittadino ad un politico o un figlio ad un padre. Così ci è parso coerente individuare alcune analogie tra le argomentazioni che il figlio Tito propone al Padre Divino con quelle fatte da un paziente al suo padre terreno.
Ci è sembrato poi di poter riconoscere una sovrapposizione anche nell’afflato con il quale sia il ladrone buono Tito che il paziente Franz (il nome di fantasia in realtà è stato ispirato dal libro di Franz Kafka “Lettere al padre” che sviluppa proprio questo tema) si rivolgono ai rispettivi padri. Entrambi infatti comunicano la loro frustrazione con un piglio deciso, a volte persino aggressivo. In realtà non è difficile trarre dai due testi gli elementi che possono spiegare le ragioni del loro livore nei confronti di chi è da loro considerato la causa delle proprie sofferenze.
Tito lamenta di aver condotto una vita ai margini della comunità anche se non avrebbe voluto, e accusa Dio di essere stato ingiusto con lui e di tutti quelli come lui, perché troppo attento a proteggere con le sue leggi i potenti e i fortunati e quindi di averlo abbandonato. Franz da parte sua, contesta al padre tutti i principi con i quali ha cercato di educarlo. Principi intrisi di false verità, e unicamente ispirati all’esercizio autoritario e vessatorio del suo potere.
Anche le conseguenze che i protagonisti delle due canzoni sono costretti a subire contengono delle analogie di senso. Per Tito è stata la pena di un disagio sociale fino alla morte per crocifissione. Per Franz, anni di disagio psicologico e di grandi sacrifici per riuscire a recuperare un po’ di amore per se stesso dopo un’esistenza caratterizzata da continue svalutazioni e derisioni da parte di un padre le cui convinzioni personali sull’esercizio dell’autorità lo avevano portato ad essere ingiusto e incapace di amare veramente.
Testo della canzone “Il testamento di Franz”
Ulteriori informazioni
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