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Contenuto del CD
Testi di Gabriele Catania
Musiche di Fabrizio De André (e suoi collaboratori Nicola Piovani e Gian Piero Reverberi)
Arrangiamenti di Giuliano Dottori eseguiti dall’Ensemble «Faber in Cluster»
Come nasce il CD
L’ensemble «Faber in Cluster» nasce grazie alla collaborazione tra l’associazione di volontariato Amici della Mente e la Scuola di Musica Cluster di Milano.
L’occasione si è concretizzata quando Gabriele Catania, presidente di Amici della Mente, propose a Vicky Schaetzinger, direttrice della Cluster, il suo progetto di parafrasare alcune canzoni di Fabrizio De André per raccontare delle storie di pazienti affetti da disagio psicologico che aveva avuto in cura.
All’inizio il progetto destò qualche preoccupazione visto che si trattava di modificare i testi di un mostro sacro della musica colta Italiana, ma quando Dori Ghezzi avallò il progetto riconoscendone lo scopo di tutela sanitaria, tutto divenne più semplice. Così vennero selezionati degli studenti dei corsi di canto della Cluster, e con arrangiamenti di Giuliano Dottori e la supervisione artistica di Vicky Schaetzinger, cominciarono le registrazioni.
Scopo del CD
Lo scopo di questo progetto musicale è esclusivamente quello di promuovere una campagna di prevenzione secondaria nell’ambito della salute mentale. I brani di questo album raccontano infatti storie tratte dall’esperienza clinica. Storie di umana sofferenza trasformate in testi per viaggiare sulle note di alcune canzoni di Fabrizio De André e giungere così a coinvolgere empaticamente l’ascoltatore.
Pensiamo che proprio grazie all’effetto empatico della canzone si possa più facilmente aiutare le persone a superare certi pregiudizi sul disagio mentale che finiscono per discriminare e colpevolizzare chi ne soffre. Una persona costretta a vergognarsi perché affetta da un problema psicologico è più facilmente esposta al rischio di non curarsi o di curarsi male con gravi e inaccettabili conseguenze sulla sua salute.
Per sapere come ottenere il CD del progetto Faber in Mente contattaci.
Le canzoni del CD
- La ballata dell’amore di vetro (o dell’anoressia)
- Un matto fuori (dietro ogni stigma c’è una cultura)
- Canzone del padre depresso
- Un medico ossessivo
- La canzone di Giusy e Lalla
- La ballata degli impanicati
- Il pescatore Gino
- Un chimico paranoico
- Il suonatore di ricordi
1. La ballata dell’amore di vetro (o dell’anoressia)
Essere o apparire? Il potere del formalismo
“La paura di essere spontaneo e naturale è propria dell’anoressia“. (Hilde Bruch – Conversations whit Anorexics 1988)
L’innamorato de “La Ballata dell’Amore Cieco (o della Vanità)” cerca di raggiungere il suo agognato scopo di oltrepassare la durezza e la vanità della donna che ama, attraverso la morte e ci riesce, visto che muore “contento e innamorato quando a lei nulla era restato”.
Allo stesso modo, l’anoressica de “La Ballata dell’Amore di Vetro (o dell’Anoressia)” mette in atto un disperato tentativo di oltrepassare la lastra di vetro che la separa dal suo bisogno di essere amata per quella che è dentro, e non per la sua forma esteriore o per la sua capacità di non deludere gli altri.
Testo della canzone “La ballata dell’amore di vetro (o dell’anoressia)”
2. Un matto fuori (dietro ogni stigma c’è una cultura)
La parola negata e lo stigma psichiatrico: è questa la vera follia.
“La parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e invisibilismo, divinissime cose sa compiere; riesce a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia e ad aumentar la pietà”. (Gorgia, Encomio 8)
“E’ più facile spezzare un atomo che rompere un pregiudizio”. (Albert Einstein)
Sia Edgar Lee Masters che Fabrizio De André raccontano la follia come la conseguenza dell’impossibilità di esprimere il proprio mondo interiore.
Frank Drummer, il personaggio descritto dal poeta americano, e il Matto raccontato da Faber, si lamentano, infatti, della stessa condizione.
Il primo denuncia dall’aldilà che la sua lingua non poteva esprimere ciò che gli si agitava dentro (“My tongue could not speak what stirred within me”), il secondo ammonisce: “Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole”.
È in queste due frasi che possiamo trovare il senso del messaggio che questi autori intendono far passare attraverso la loro opera: la violenza di negare la parola ad un essere umano.
Il loro “matto”, infatti, viene emarginato dalla gente del villaggio attraverso la negazione del suo diritto di parola. Il testo “Un Matto Fuori” racconta dello stesso problema, è la storia di un uomo affetto da un disturbo psicologico che cerca di ribellarsi a questa triste sorte scappando continuamente dal ricovero ospedaliero, per sentirsi più libero di esprimere se stesso.
Testo della canzone “Un matto fuori (dietro ogni stigma c’è una cultura)”
3. Canzone del padre depresso
Il padre: il più potente simbolo del potere e dell’autorità
“Dall’esame psicoanalitico dell’individuo scaturisce con particolare evidenza che ciascuno conforma il proprio Dio a immagine del padre”. (Sigmund Freud -Totem e Tabù 1913)
“C’è lì un posto, lo ha lasciato tuo padre”
È in questa frase che possiamo individuare il tormento dell’impiegato raccontato da De André nel brano “Canzone del Padre“: il tormento di un uomo che deve fare i conti con il suo fallimento perché non è riuscito a diventare un uomo diverso da suo padre, e che quindi si deve accontentare di prenderne il posto.
L’impiegato deandreiano, dopo aver smesso di “contare i denti ai francobolli”, capisce di non riconoscersi più nel modello sociale, borghese, che gli veniva proposto dal padre. Decide allora di distinguersi da lui cercando di colpire con un gesto violento, la bomba, un suo simbolo, il più alto simbolo paterno del potere e dell’autorità: lo Stato.
Ma il suo tentativo fallisce e così torna ad essere come lui: il padre borghese che pensava di aver “ucciso in un sogno precedente”.
“Canzone del Padre Depresso” racconta una vicenda analoga. Un uomo che soffre di depressione e che teme di ripetere con il figlio lo stesso errore che il padre ha commesso con lui: plasmarlo a sua immagine e somiglianza impedendogli di diventare un individuo diverso, un uomo autenticamente autodeterminato.
Testo della “Canzone del padre depresso”
4. Un medico ossessivo
La nevrosi ossessiva o la galera: la colpa di mettersi contro dio o contro la legge
“La colpa è proprio l’unico fardello che gli esseri umani non possono sopportare da soli ” (Anais Nin)
La storia di “Un Medico Ossessivo” ci racconta di un uomo cresciuto con il bisogno assoluto di non dover sbagliare e che, terrorizzato dal senso di colpa, decide di fare il medico per ingraziarsi Dio, l’unica sua fonte di rassicurazione.
Ma, nonostante lo sforzo profuso in un impegno costante e impietoso, l’uomo si rende conto di non amare il lavoro che fa. Scopre di non essere autenticamente interessato a curare le persone che chiedono il suo aiuto.
Per questo pensa di aver tradito Dio e quindi finisce per essere ancor più soggiogato dai suoi sensi di colpa, una colpa che questa volta non prevede altre vie di fuga se non quella della nevrosi ossessiva.
Comincia, così, a sentirsi costretto a lavarsi svariate volte al giorno le mani, come autopunizione per aver infranto le regole del “padre”, dell’ ”autorità divina”.
Anche il “Medico” deandreiano è costretto ad infrangere delle regole, quelle sociali. Egli, infatti, per sopravvivere si improvvisa un truffatore e finisce per pagare le sue colpe nei confronti della legge con la galera.
Una costrizione fisica (il carcere) per lui e una costrizione psichica (la nevrosi) per il Medico Ossessivo.
Testo della canzone “Un medico ossessivo”
5. La canzone di Giusy e Lalla
L’amore che vince la morte e la follia
“E’ l’amore, non la ragione, che è più forte della morte”. (Thomas Mann)
Ne “La canzone di Marinella” la giovane protagonista, dopo aver vissuto “senza il sogno di un amore“, muore proprio quando il destino le ha fatto conoscere il suo “Re senza corona e senza scorta”.
L’uomo non si rassegna a quella perdita e per il resto dei suoi giorni continua a bussare alla porta della sua amata, nella vana speranza di poterla rivedere.
È come se, con la forza del suo amore, egli avesse vinto la morte.
“La Canzone di Giusy e Lalla” ripropone lo stesso tema.
Lalla ha vissuto la stessa vita “incantata” di Marinella, perduta nella sua ingenua visione del mondo. Poi un giorno scopre di corrispondere all’amore omosessuale di Giusy. Lalla non aveva mai neanche sospettato di potersi innamorare di una donna e questo la sconvolge fino a farle perdere la ragione, ma Giusy, come il Re di Marinella, non si rassegna e continua ad amarla.
Ad amarla di un amore che non distingue la follia dalla salute mentale.
Testo della “Canzone di Giusy e Lalla”
6. La ballata degli impanicati
La sofferenza non compresa
“Guariamo dalla sofferenza solo provandola appieno”. (Marcel Proust)
La sofferenza dei condannati a morte, una sofferenza non riconosciuta e non compresa, rispetto alla quale non vi è alcuna pietà da parte di chi l’ha inflitta o di chi assiste impassibile e connivente al suo consumarsi nell’ultimo fiato del condannato.
È questo il tema de “La Ballata degli Impiccati”. Faber e Giuseppe Bentivoglio con questa canzone hanno pensato di dare a quei condannati la possibilità, per quanto solo virtuale, di lamentarsi della pena inflitta loro “per il male fatto in un’ora”, considerandola inumana ed eccessiva.
Allo stesso modo, ne “La Ballata degli Impanicati“, si è voluto dare voce alla sofferenza delle persone che soffrono di attacchi di panico e che per questo conoscono bene quello che si prova quando si ha la sensazione di essere sul punto di morire.
Anche loro lamentano di non essere compresi dagli altri, ma non augurano agli ignari del loro dolore di provare appieno quella sensazione, chiedono loro solo di poterla immaginare.
Spesso, ancora oggi, quando si parla di disturbi psichici basta la sola immaginazione a spaventare le persone e a farle riflettere.
Testo della canzone “La ballata degli impanicati”
7. Il pescatore Gino
La solitudine forzata
“Credo che l’uomo per salvarsi debba sperimentare l’angoscia della solitudine e dell’emarginazione, la solitudine come scelta o come costrizione è un aiuto; ti obbliga a crescere. Questa è la salvezza”. (Fabrizio De André)
Della storia del “Pescatore” di De André non sappiamo molto. Sappiamo che si trova solo in una spiaggia, riparato dall’ombra dell’ultimo sole, e che questo suo distacco dalla realtà lo porta a scegliere di ristorare un assassino e a proteggerlo dalla “legge” che lo insegue per arrestarlo.
Egli non si scompone né all’arrivo del criminale né a quello dei gendarmi, continua imperterrito a mantenere quella beffarda espressione del viso, a metà fra la spensieratezza e il sarcasmo.
Faber non ci fa capire null’altro di questo personaggio.
Chissà quali esperienze personali hanno portato il pescatore deandreiano a scegliere una vita da consumare nella totale solitudine ?
E chissà attraverso quale forza interiore egli è riuscito a reggere il silenzio della sua esistenza?
Anche la storia de “Il Pescatore Gino” ci parla di un uomo impegnato a dover sopportare la solitudine e il silenzio del cielo muto. Un uomo solitario che, però, non ha escluso soltanto il suo intorno sociale, la realtà esterna, ma anche e soprattutto il proprio mondo interiore, il mondo dei suoi conflitti intrapsichici.
Testo della canzone “Il pescatore Gino”
8. Un chimico paranoico
Meglio un nemico che un amore: il paradosso della paranoia
“Non amare per paura di essere rifiutati è come non vivere per paura di morire”. (Anonimo)
Il “Chimico” deandreiano sceglie di non fidarsi dell’amore, di non abbandonarsi a questo sentimento perché considera che tanto, anche amando, alla fine si muore lo stesso.
Per lui i sentimenti non possono essere spiegati (“ma gli uomini mai mi riuscì di capire perché si combinassero attraverso l’amore”); non sono affidabili (“fui chimico e, no, non mi volli sposare non sapevo con chi e chi avrei generato”) e non sono prevedibili (“affidando ad un gioco la gioia e il dolore”).
È dunque la paura dell’amore a tenerlo lontano dai sentimenti e quindi da una vita autenticamente umana.
Egli, non fidandosi dell’amore, vede nella donna un nemico, un problema da allontanare sempre e a qualunque costo.
L’organizzazione mentale del “Chimico” di De André non è molto lontana da quella del protagonista di “Un Chimico Paranoico“. Entrambi hanno messo la paura al centro della propria vita e soprattutto hanno permesso a quest’ultima di paralizzare la loro esistenza. Il Chimico Paranoico racconta la sua storia di bambino terrorizzato dalla paura dell’altro. Un altro che non è necessariamente una donna, ma che può essere riconosciuto in qualunque persona, anche quella apparentemente più innocua. Anche lui non si fida dell’amore per le donne, anzi, dalle loro attenzioni si sente persino insultato. Anche lui, in questo delirio di persecuzione, finisce per “uccidere la propria vita”, per anticiparne drammaticamente la fine prima che la vera morte sopraggiunga.
Testo della canzone “Il chimico paranoico”
9. Il suonatore di ricordi
La generosità di regalare la propria musica o i propri ricordi, aiuta a vincere le miserie umane
“Avrai sempre quelle sole ricchezze che avrai donate”. (Marziale)
“Scrissi Il suonatore Jones una mattina molto presto, di getto. Nacque da un testo toccante che parla d’un tale che vive dando la musica agli altri. Anch’io sognavo di passare la mia vita dando musica agli altri, così mi rispecchiai in quei versi”.
Con queste parole Fabrizio De André svela quanto ci sia di se stesso nel personaggio di Jones il suonatore e svela anche quanto sia importante per lui la scelta di regalare se stessi agli altri attraverso l’arte.
Egli affida proprio a Jones il compito di farsi portatore del messaggio del “suo Spoon River”: quello di contentarsi di poco per vivere felici.
In una sua intervista Faber precisa, inoltre, che la figura di Jones si distacca da quella degli altri protagonisti del suo concept-disc, perché la sua è una storia diversa. È la storia di un uomo che non si fa vincere dalle miserie umane, in particolare dalla vendetta, dall’invidia o dal desiderio disperato del denaro.
Lui ha fatto una scelta di totale libertà da ogni condizionamento esterno: “non al denaro, non all’amore né al cielo”.
Si concede solo alla musica, trascendendo attraverso di essa la fisicità dell’esistenza e dunque anche la morte. Anche “Il Suonatore di Ricordi” racconta la storia di un uomo che ha lottato tutta la vita per difendere la sua libertà. Una libertà che vede fiorire “sul volto suo sudato”, che riconosce nella dignità e nel rispetto dei suoi valori: “partito e lavoro – famiglia e decoro – questi i sogni che l’hanno svezzato”.
Un uomo senza rimpianti, che ripercorrerebbe la sua vita così come l’ha vissuta, per mille anni ancora e che, come Jones, insegue la sua immortalità attraverso la generosità, attraverso il piacere di regalare agli altri il bene più intimo e più prezioso che possiede: i suoi ricordi.
Testo della canzone “Il suonatore di ricordi”
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