Come nasce il progetto Faber in Mente

Presentazione del progetto a cura del Dott. Gabriele Catania Presidente di “Amici della Mente”

“Non é tanto utile scoprire la verità
quanto farne un nido di parole
che poi diventerà cronaca, testimonianza, canzone.”
(Alda Merini)

Qualche anno fa, durante il trattamento di una paziente affetta da anoressia restrittiva, mi sono trovato ad affrontare un tema che più avanti avrei riconosciuto come caratteristico di questo tipo di pazienti: la loro percezione di non essere amati per quello che sono, ma solo per quello che mostrano.

Quella giovane donna, infatti, mi confidò di non essere mai stata certa che le dimostrazioni di apprezzamento che riceveva dai suoi genitori fossero realmente autentiche. Mi disse di non sentirsi sicura che, se le fosse successo di deluderli, loro avrebbero continuato a manifestare la loro stima nei suoi confronti.

In sostanza a quella paziente mancava la certezza di poter essere amata “a prescindere” dalla sua capacità di non deludere gli altri.

Così, in ragione di quel dubbio e con l’intento di allontanare la possibilità di sentirsi rifiutata, aveva basato la sua vita sull’obbligo di impegnarsi fino allo stremo, in tutto ciò che le veniva richiesto, tanto da non accorgersi di aver sviluppato un pericoloso senso di onnipotenza.

Una mattina, mentre cercavo di capire come si potesse collegare la drammatica perdita di peso di quella paziente alla sua paura di sentirsi rifiutata, mi venne in mente che lo stesso tema era contenuto in una canzone di Fabrizio De André: “La Ballata dell’Amore Cieco (o della Vanità) “.

In questo brano, infatti, Faber stigmatizza in maniera inequivocabile la tendenza a dare all’amore un valore solo “di facciata”, legandolo e riducendolo al freddo amor proprio, alla vanità.

La donna della canzone, infatti, restituisce all’uomo innamorato di lei un finto amore, un amore basato sulla cieca obbedienza e sulla condizione che egli non deluda le sue richieste. E lui, nonostante le continue delusioni, non demorde, anzi si prodiga a dare nuove prove della sua passione amorosa, fino all’estremo sacrificio.

Mi resi conto che in qualche modo, anche la mia paziente anoressica, attraverso il suo patologico dimagrimento, perseguiva un progetto autodistruttivo simile a quello dell’innamorato cantato da De André: l’annullamento della propria esistenza per la mancanza di un ritorno affettivo autenticamente affidabile.

Naturalmente i genitori della paziente erano ignari del fatto che la figlia percepisse il loro affetto in quel modo e, quando capirono questo, collaborarono alla terapia favorendo la soluzione del caso.

Ecco, ero giunto all’osservazione di un concreto legame tra la canzone d’autore e la psicoterapia.

Era accaduto che, un concetto che avevo interiorizzato e affinato negli anni, ascoltando il mio cantautore preferito, in quella precisa circostanza mi aveva aiutato a comprendere meglio un caso clinico.

Incoraggiato da questa curiosa scoperta, decisi di verificare l’esistenza di altri possibili collegamenti tra il materiale clinico tratto dalla mia esperienza professionale e i costrutti d’importanza psicologica riconducibili all’opera di Faber.

Giunsi in questo modo ad individuare altre storie di pazienti che presentavano dei legami simili a quelli che avevo trovato tra l’anoressia e “La Ballata dell’Amore Cieco“.

Così, dal momento che uno degli scopi dell’associazione che presiedo è quello di divulgare informazioni realmente utili a favorire il superamento dello stigma psichiatrico, pensai che potevo dare un contributo in tal senso facendo uscire dalle solitarie mura del mio studio la ricchezza emotiva e il profondo valore umano di quelle storie, per farle viaggiare accanto alle canzoni di Faber.

Pensai di poter far questo perché, nel corso della mia esperienza di psicoterapeuta, mi sono sempre più convinto che i preconcetti sulla sofferenza psicologica possano essere più facilmente indeboliti da una comprensione basata sulla condivisione empatica, sulla capacità, cioè, di partecipare emotivamente alle storie che si ascoltano.

D’altra parte è stato lo stesso Faber a confermare questa mia convinzione quando, in una sua dichiarazione fatta a proposito della funzione del cantastorie, affermò che, per non perdere la memoria dei fatti importanti, bisogna che questi vengano fissati in musica e parole.

Così, con l’incoraggiamento e il sostegno concreto di amici esperti del campo, nacque “FABER IN MENTE“, una raccolta di testi che raccontano nove storie di pazienti psichiatrici, parafrasando altrettanti testi autentici del cantautore genovese.

Sono arrivato in questo modo alla conclusione che a Faber vada riconosciuto un nuovo merito, il merito di averci lasciato in eredità un patrimonio di concetti che, oltre ad avere un indiscutibile valore artistico-culturale, possiedono anche l’insospettabile capacità di “spiegare” alcuni importanti costrutti di natura scientifica quali sono quelli riconducibili allo studio dei disturbi mentali.

Confesso che, dagli approfondimenti che ho condotto su questo tema, non sono riuscito a capire fino in fondo se Faber fosse veramente cosciente di questa sua meritevole azione a favore del “sapere psicologico”, ma è certo che, anche in questo caso, poco importa se in maniera consapevole o no, egli ha dato dimostrazione della sua straordinaria forza artistica.

Una forza capace di penetrare gli strati profondi dell’animo umano, per illuminarne gli angoli più reconditi e più bui. Quegli angoli misteriosi che sono sì i luoghi del poeta e del musicista, ma che sono anche i territori di competenza specifica della psicologia e della psicoterapia in particolare.

Ulteriori approfondimenti

Il perché del progetto Faber in Mente

I programmi del progetto Faber in Mente